Fate ciò che dico, non fate ciò che faccio

“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: ‹Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio›, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio?”
(dal Vangelo secondo Luca)
In questo periodo, in modo particolare (ma è storia vecchia come il cucco) si sta assistendo a “pipponi” dall’intento didascalico come provenienti da soggetti noti per la loro “moralità” e che cercano di nascondere il proprio passato, facendo leva sulla rimozione della memoria collettiva. Questi soggetti, appunto, si possono a ragione definire “moralisti dell’immorale”.
Come giustamente più di uno sottolinea, a qualcuno è sufficiente donare un cappello perché questi si senta in legittimato a giudicare chicchessia, entrando nel merito di questioni morte e sepolte, dimentico (egli o ella) delle imprese da lui e/o da lei compiute nel passato.
Capita spesso che i “pontefici”, salvati da benefattori cui avevano creato danni, si concedano il lusso di “voler moralizzare” il mondo, distinguendo i buoni dai cattivi e misurando bontà e cattiveria dei “giudicati”, secondo la propria “moralità” (la quale cambia a seconda del vento che spira).
“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhi”. Prima di giudicare, bisogna ricordarsi cosa si è combinato, nel passato (con cui, piaccia o no, si deve fare i conti).
Moralista è bello; ma la (im)morale del moralista si qualifica per ciò che è: tamquam non esset.
Nicola Zanni

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