L’obbligo della formazione e la necessità di riforma del sistema

La formazione professionale, quella seria (e non lasciata ad imbonitori e professoroni arrabattati, loquaci sui social e, forse, poco inclini – loro stessi – al rispetto delle regole deontologiche) è un obbligo insito nel Codice Deontologico, prima ancora che nella Legge Professionale e nel Regolamento  del CNF 16 Luglio 2014, n. 6, il quale prevede che, a livello di COA locali, vi siano delle Commissioni ad hoc le quali “possono essere costituite presso ciascun Consiglio dell’Ordine, al fine di svolgere i compiti di competenza degli ordini circondariali in materia di formazione disciplinati dal presente regolamento 9” (art. 5, lett. j, Regolamento citato).

Già in passato, proprio dalle pagine di questo giornale, abbiamo affrontato il problema della formazione professionale e della necessità – ormai non più procrastinabile nel tempo – di rivedere il sistema della formazione stessa. A giudizio di qualcuno, infatti, il sistema dell’obbligo formativo a mezzo raccolta dei crediti triennali non è sinonimo di garanzia di professionalità e preparazione degli Avvocati. Infatti, attualmente, perché si possa essere esenti da un procedimento disciplinare per mancata raccolta crediti formativi, è necessario aver assolto all’obbligo di essere in regola con i crediti previsti per un triennio e tale obbligo non vige per coloro i quali abbiano una anzianità di servizio di 25 anni (art. 12, c. 2, Legge 247/12).

L’art. 15, Codice Deontologico, statuisce che “l’avvocato deve curare costantemente la preparazione professionale, conservando e accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori di specializzazione e a quelli di attività prevalente”, imponendo agli Avvocati la formazione rivolta, in particolare, ai settori in cui essi sono specializzati ed in cui gli stessi svolgono attività prevalente (sic!).

Proprio per dare attuazione (compiuta?) al predetto articolo del Codice Deontologico ed all’art. 12, c. 1, Legge 247/12 (“L’avvocato ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali e di contribuire al migliore esercizio della professione nell’interesse dei clienti e dell’amministrazione della giustizia”), il CNF – all’art. 25, c. 10, Regolamento n. 6/14 – ha previsto che “L’accertamento della violazione del dovere di formazione e aggiornamento professionale e la mancata o infedele attestazione di adempimento dell’obbligo costituiscono infrazioni disciplinari ai sensi del codice deontologico”. Di fatto, si è aperta la caccia ai crediti formativi, paventando lo spettro di un procedimento disciplinare nei confronti di chi non abbia conseguito l’obiettivo: raggiungere i crediti previsti.

Ma è un sistema valido, quello attualmente in vigore? O, piuttosto, la previsione normativa (art. 12, Legge 247/12) e quella regolamentare sono pleonastiche? E, ancora, la specificazione dell’obbligo formativo, come prevista nella Legge Professionale e nel Regolamento CNF, hanno un senso, alla luce del fatto che esiste (e già dal vecchio Codice Deontologico Forense) l’obbligo della preparazione professionale, e ciò a tutela dell’assistito. Tutte queste domande hanno forse bisogno di una risposta che, purtroppo, non può prescindere da un dato di fatto: essendo, il Regolamento n. 6/14, diretta conseguenza di quell’obbrobrio della Legge Professionale (legge voluta solo per sostituire la vecchia Legge Professionale, ben sapendo che la legge da approvare era da migliorare), per la proprietà transitiva, non è il top.

Solo dando uno sguardo alle statistiche relative ai procedimenti disciplinari per presunte violazioni dell’art. 15, Codice Deontologico, e solo considerando che la attività di controllo – gravante sui COA – molto difficilmente ha portato a (inutili) segnalazioni ai competenti Consigli Distrettuali di Disciplina, la domanda da porsi è: il sistema come è attualmente previsto, garantisce la professionalità dell’Avvocato e tutela adeguatamente l’assistito?

Le domande da porci sono molteplici; ma tutte dovrebbero partire da un dubbio preliminare: era proprio necessario prevedere un dettame normativo (l’art. 12, Legge Professionale) ed un Regolamento CNF (il n. 6/14) per ribadire ciò che è statuito a chiare lettere nel Codice Deontologico? O, piuttosto, il sistema come oggi è previsto, non va modificato (e su come modificarlo, ci si deve mettere d’accordo)?

Ai posteri l’ardua sentenza.

NOI CI SIAMO!

Nicola Zanni

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