La replica di Errico Novi a Nicola Zanni

In replica all’articolo apparso su questo sito con titolo “La crisi di governo e il Dubbio” (http://www.futuroforense.eu/wp/2019/08/12/la-crisi-di-governo-e-il-dubbio/) a firma del direttore editoriale, Nicola Zanni, Errico Novi, giornalista de Il Dubbio, ha inoltrato al Nostro una nota esplicativa ed interpretativa dell’articolo apparso ed oggetto di riflessione nel detto pezzo. Ritenendo di far cosa gradita ai nostri lettori e soprattutto accogliendo l’invito alla discussione rivolto da Novi non solo a Nicola Zanni ma a “tutti coloro che desiderano farlo”, pubblichiamo qui di seguito la nota.
Paolo Scagliarini
“Gentile Avvocato,
nell’articolo in realtà si voleva segnalare come la riforma messa a punto (inutilmente) dal ministero della Giustizia abbattesse per la prima volta alcuni tabù in materia di ordinamento giudiziario. In particolare riguardo alla perseguibilità disciplinare dei magistrati per eventuali ritardi nella chiusura delle indagini e nel deposito delle sentenze. Misure liquidate come “acqua” dal leader della Lega Salvini ma che hanno gettato nel più assoluto sconforto i magistrati italiani, preoccupati dal semplice fatto di dover convivere con una così “inquietante” spada di damocle. A questo si aggiungano soluzioni, pure inserite nella bozza poi naufragata, quali l’individuazione per sorteggio di una ristretta cerchia di magistrati candidabili all’elezione dei togati al Csm, che avrebbe messo (almeno un po’) i bastoni fra le ruote alle correnti, l’impossibilità del rientro in magistratura per le toghe che decidano di fare politica, e ancora l’impossibilità per i togati uscenti di essere nominati, dal Csm successivo a quello di cui avevano fatto parte, per incarichi direttivi o semidirettivi (norma, questa, più severa anche di quella inserita nella legge istitutiva del Consiglio superiore del 1958). In effetti l’articolo puntava a rilevare come un simile blocco di misure fosse fatalmente finito su un binario morto, dopo la sorpresa suscitata dal semplice fatto che norme così severe con i magistrati fossero state proposte da un ministro 5 Stelle, e materialmente scritte da un capo dell’ufficio Legislativo, Vitiello, che è a sua volta un magistrato, proveniente dall’agguerrita (con la politica) corrente di Md. In effetti la titolazione ha enfatizzato in modo non specifico tale sorpresa, e comprendiamo come se ne sia potuta ricavare l’impressione che il giornale volesse esprimere un più generale rammarico per il naufragio del ddl. Ma a ben vedere la lettura dell’articolo firmato da Giovanni Jacobazzi non si presta a una simile interpretazione. E in ogni caso non associa certo quella “sorpresa” ai contenuti del ddl delega relativi al processo civile, che il Dubbio aveva deplorato in diversi, precedenti articoli. In particolare per le preclusioni introdotte a carico delle parti rispetto alla possibilità di presentare memorie istruttorie.
Caro Avvocato, chi Le risponde è ben lieto di confrontarsi con Lei. Anche con le Sue così aspre critiche all’iniziativa editoriale di cui è parte. Vorrei però soffermarmi su una cosa. Credo che il Dubbio rappresenti un caso giornalistico di straordinaria novità. Mi riferisco al fatto stesso che un grande Ordine professionale, il più grande del Paese, abbia deciso di farsi promotore di un quotidiano. Vede, personalmente credo che in questo Paese come forse in tutto l’Occidente il ceto medio sia stato vittima di un tentato, e quasi compiuto, genocidio. Un massacro. Di una ferocia senza precedenti, nell’età cosiddetta contemporanea. Con la favoletta del mercato capace di autoregolarsi sono state disintegrate tutte le protezioni, che nel caso dei professionisti erano costituite per esempio dai minimi tariffari. È passata un’idea mercantile della libera professione e (cosa mostruosa) della missione dell’avvocato, che invece è un’istituzione civile, un garante dei diritti, un pilastro della stessa democrazia. Se l’Italia, giustizia compresa, è ridotta com’è ridotta è anche perché un potere invisibile ha trasformato la comunità civile in una moltitudine indistinta di consumatori, e ha introdotto forme che configurano nelle sostanza un regime neo-schiavista.
Ora, che l’avvocatura italiana si prenda la briga di veicolare con un proprio giornale dei messaggi politici avversi a una simile mostruosa visione della società, è un fatto di enorme rilievo. E mi creda, chi Le scrive non è un avvocato, non ha familiari avvocati, si è occupato di politica giudiziaria in modo certamente non esclusivo nel proprio percorso professionale, eppure si è convinto nel profondo dell’urgenza di una simile affermazione di valori.
Poi la si potrà esprimere anche con altri mezzi. Ma Le posso dire che il Dubbio è stato prezioso. Se due anni fa, con la prima legge sull’equo compenso, si è infranto il velo di intangibilità delle retribuzioni professionali al ribasso, è anche perché insieme con l’istituzione e le rappresentanze specialistiche forensi abbiamo ingaggiato una battaglia politica serratissima. Il Dubbio è un giornale diffuso tra gli avvocati, con inevitabili sbilanci commerciali, inevitabili per tutta la carta stampata. Però pesa. Il fatto stesso che gli avvocati italiani promuovano un giornale conferisce all’intera professione una “temibilità” che nel gioco politico vale eccome.
Il gioco politico è strano, ma è fatto anche di queste cose. Così finisce che sul Dubbio si faccia una campagna contro l’Antitrust per le ripetute pretese di imporre anche ai professionisti, senza condizioni, il dogma della libera concorrenza, e finalmente nel governo di comincia a diffondere l’idea che l’Autorithy vada sollecitata ad assumere, piuttosto, iniziative sanzionatorie nei confronti di quei committenti forti responsabili di abuso di posizione dominante proprio rispetto all’equo compenso, sollecitazione proposta da uno dei vertici del ministero della Giustizia in un recente incontro sulla legge del 2017. Il Dubbio pesa e si vede anche dalle citazioni nelle rassegne tv. A “Linea Notte”, la trasmissione di Rai 3 che tutte le sere anticipa le prime pagine dei quotidiani, siamo “mostrati” quasi ogni giorno. Tra i tanti, credo sia significativo il caso del 1° luglio scorso, che mi sono doverosamente appuntato, in cui la giornalista del Tg3 ha segnalato tra i nostri titoli anche quello in cui il compianto Carlo Federico Grosso, intervistato, approvava l’idea di riconoscere in Costituzione il ruolo dell’avvocato. Nel soffermarsi su quel richiamo (le segnalo il link, http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-abb518f9-2f6e-4c68-87a6-a0c504985dcc-tg3.html , è al minuto 30 e 25 secondi) la giornalista della Rai ha ricordato appunto come l’avvocatura italiana «abbia deciso di chiedere il riconoscimento costituzionale del proprio ruolo», tema che mai si sarebbe potuto immaginare di veder citato in una trasmissione così seguita (peraltro quell’intervista è stata l’ultima rilasciata dal presidente Grosso prima della sua scomparsa). Siamo nella ristretta rosa dei quotidiani per i quali la rassegna del Csm prevede ogni giorno la segnalazione della prima pagina. Non a caso in giorni caldi come quelli del caso Palamara le toghe sono ben contente di sviluppare il loro dibattito interno con interventi e interviste sul nostro giornale.
Caro Avvocato, un po’ di obiettivi e di riscontri, credo che il Dubbio li abbia colti e ottenuti. Posizioni comunque contrarie all’iniziativa sono sempre assolutamente legittime. Ma quello a cui teniamo è discutere, con Lei e con tutti quelli che desiderano farlo. Il tempo in cui il ceto medio doveva rassegnarsi ad abbassare silenziosamente lo sguardo e obbedire alla cosiddetta legge del mercato è, almeno a mio modo di vedere, finito per sempre. (Errico Novi)”

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