Una nuova Cassa Forense, è possibile?

La Cassa Forense come croce e delizia di noi Avvocati; la Cassa Forense come mamma e matrigna di noi Avvocati … la Cassa Forense totalitaria e totalizzante; la Cassa Forense come Grande Fratello che controlla tutti noi e che, anche se a distanza di tempo, ci becca se non siamo buoni pagatori. La Cassa Forense che ci mangia i nostri introiti per poi pagarci – secondo la vulgata – pensioni da fame, dopo una vita spesa a dissanguarci con i contributi pretesi e versati ogni anno.

L’argomento, ovviamente, necessita di un approfondimento generale e – sicuramente – più incisivo; tuttavia è necessario partire dalla definizione di Cassa Forense e delle finalità (non solo teoriche) di questa, chiamata a gestire i contributi di ben 247.000 Avvocati (ed un patrimonio, anche immobiliare, disseminato non solo in Italia e del quale, più volte, ci si è chiesti l’utilità, a fronte di una oggettiva difficoltà degli Avvocati, cui si farà riferimento in seguito).

Cito testualmente quegli che sono gli scopi sociali della Cassa Forense, come sanciti nell’art. 2, c. 1, Statuto di Cassa Forense, come approvato con Delibera del Comitato dei Delegati del 18/12/15 – Approvato con Ministeriale del 1/6/16 – Pubblicato in G. U. Serie Generale n. 145 del 23/6/16.

“La Cassa Forense ha i seguenti scopi: assicurare agli avvocati che hanno esercitato la professione con carattere di continuità ed ai loro superstiti un trattamento previdenziale in attuazione dell’articolo 38 della Costituzione ed in conformità di quanto previsto dalla Legge, dal presente Statuto e dai regolamenti; erogare assistenza a favore degli iscritti indicati nell’art. 6 e dei loro congiunti, nonché di altri aventi titolo, secondo quanto previsto dalla Legge, dallo Statuto e dai Regolamenti; gestire forme di previdenza integrativa e complementare nell’ambito della normativa generale vigente”

Interessante (anche perché da da pensare su come vengano gestiti i contributi degli iscritti e dove vadano poi a finire, questi contributi) è il c. 2 del menzionato art. 2, laddove si afferma che “la Cassa Forense, per il conseguimento delle sue finalità istituzionali e per migliorare la sua efficienza organizzativa e gestionale, può svolgere attività e promuovere iniziative, anche con la costituzione e la partecipazione a società, enti, fondazioni ed associazioni in Italia ed all’estero”. Sul punto è necessario spendere due parole (e lo faremo nel corso del presente articolo).

Adesso, invece, è opportuno soffermarsi sull’attuale sistema, come venutosi a creare (imposto?), a seguito dell’entrata in vigore della Legge Professionale (la n. 247 del ’12), che – tra le tante cose – ha previsto (all’art. 21) l’OBBLIGATORIETA’ DELLA ISCRIZIONE ALLA PREVIDENZA FORENSE (c. 8 “L’iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense”; c. 9 “La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con proprio regolamento, determina, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri  reddituali, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo; c. 10 “Non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense”).

Tale sistema, a ben vedere, ha provocato un grave squilibrio – all’interno della categoria Professionale – proprio perché, prevedendo l’iscrizione coattiva di tutti i 247.00 Avvocati italiani, SENZA TENER CONTO DELLA CONGIUNTURA NEGATIVA DEL MOMENTO (come provocata dalla crisi finanziaria del 2008, che nel 2012 ancora era nel pieno e di cui non si prevede la fine), ha portato di fatto ad un impoverimento improvviso di chi, fino ad allora, era riuscito (sia pure con qualche difficoltà) a tenersi a galla, ed a un “affondamento” di chi – non iscritto alla Cassa per questioni legate al reddito – si è trovato (da un secondo all’altro) a dover far fronte a situazioni economiche mai messe in preventivo (e non certo per sua colpa, considerato che il Sistema previdenziale glielo aveva permesso).

Quando si parla di “rivoluzione censuaria” dell’art. 21 (il termine rivoluzione è, ovviamente, utilizzato con accezione negativa), ci si riferisce proprio al fuoco distruttore di questa norma che ha portato alla cancellazione di migliaia di colleghi e che, di fatto, oggi continua a vessare (dall’entrata in vigore della Legge Professionale) oltre il 50% dei Colleghi iscritti (tali dati sono evincibili dal Rapporto del Censis dell’Aprile 2018, che avremo modo di esaminare in seguito).

Il sistema è quello che è (lo conosciamo tutti, purtroppo!) ed allora ci si pone (e da tempo immemore) la domanda: è possibile una nuova Cassa Forense, più “umana” o, più semplicemente, a misura di iscritto, alla luce di quelli che sono (implacabilmente) i dati forniti da Cassa Forense (2 iscritti su 3 non raggiungono i 20.000,00 € annui di introiti da lavoro autonomo e, nel breve – medio periodo, data la crisi finanziaria che dal 2008 attanaglia TUTTI gli Avvocati, non si riesce a vedere una via d’uscita)?

La domanda, d’obbligo per tutti (ma in particolare per chi tali redditi non li raggiunge, pur avendo alle spalle tanti anni di Professione). Emblematica ed esaustiva, a tal proposito, è la fotografia fatta dal Rapporto del Censis, commissionato da Cassa Forense, dell’Aprile 2018, da cui emerge una situazione che definire allarmante e al limite della umana sopportazione è, a dir poco, limitativa. Un dato su tutti: in Puglia, al 2016, i redditi degli Avvocati erano inferiori del 41% rispetto alla media nazionale, come calcolata sempre dal Censis su dati forniti da Cassa Forense (pag. 21, Percorsi e scenari della Avvocatura Italiana – Rapporto 2018). E tale situazione è negativa per le regioni del Centro (eccezion fatta per il Lazio) e del Sud Italia, isole comprese, sia pur con percentuali diverse. Peggio della Puglia risultano essere la Calabria (- 54%), il Molise (- 49%), la Basilicata (- 46%) e la Sicilia (- 42%). Dunque ben 11 Regioni su 20 vedono gli avvocati in difficoltà, rispetto alla media nazionale (ed in Puglia il reddito medio è di poco superiore ai 20.000 €, circostanza – questa – che ci fa comprendere l’oggettiva difficoltà ad andare avanti).

A ben vedere, dunque, la situazione non è molto semplice, anche perché è necessario mantenere, istituzionalmente parlando, una linearità di condotta valida per tutti, ma che, al tempo stesso, consenta di sostenere i costi della Cassa Forense (come posti a carico di ogni singolo iscritto) e, a questa, di provvedere alle esigenze di tutti.

E’ necessario, a giudizio di Futuro@Forense,  prima di ogni altra cosa, che Cassa Forense prenda atto (e non solo con le parole) della oggettiva difficoltà in cui la maggioranza dei menzionati 247.000 avvocati (e fra questi, le decine di migliaia di Colleghi iscritti coattivamente, dopo l’entrata in vigore della Legge Professionale, i quali, fino ad allora, o erano iscritti nella Gestione Separata dell’INPS o coattivamente vi sono stati iscritti) si sta muovendo, da tempo.

Già il nostro Direttivo, con Delibera del 31/8/18, aveva chiesto “1) un provvedimento di Cassa Forense a mezzo del quale prestare adesione o, quanto meno, farsi parte diligente affinché vi sia un provvedimento statale di previsione di un concordato tra le parti in causa (Avvocati, Cassa, INPS ed Enti di riscossione), per la cancellazione dei debiti previdenziali, previo versamento – da parte del Professionista – di una somma pari al 10% del debito previdenziale (senza considerare sanzioni ed interessi), nei confronti di Cassa Forense, entro 24 mesi dalla data della approvazione del concordato richiesto;” che “2) il provvedimento di cui al precedente punto 1. dovrà riguardare tutte le posizioni debitorie in essere al 31 Dicembre 2017, sia per cui vi sono giudizi e/o esecuzioni in atto, che per le posizioni non ancora iscritte a ruolo e/o non ancora contestate”; che “3) il menzionato provvedimento dovrà altresì prevedere che le eventuali sanzioni ed interessi non dovranno essere calcolate ai fini del debito nei confronti di Cassa Forense e che, di conseguenza, non costituiranno oggetto di contestazione”; infine che vi sia la “4) possibilità di ricongiunzione, ai fini pensionistici, dei periodi “contestati” nei limiti dei contributi per cui si procede a concordato”.

Si faceva presente, all’atto della Delibera, che “tale proposta, come detto, consentirebbe a tutti di usufruire della possibilità di “rientrare” (e mettersi in regola con i versamenti, in favore di Cassa Forense), a Cassa di incassare somme che – altrimenti – non sarebbero mai entrate nella sua disponibilità e a tutti di eliminare contenziosi che, comunque, oltre ad essere dispendiosi per tutti, non fanno salva l’alea del giudizio e procrastinano nel tempo l’incasso di somme che (invece) possono essere incassate subito (pochi, maledetti e subito!). Con il riacquisto di credibilità di Cassa Forense e dei suoi principi solidaristici, in un periodo di grossa crisi che – a dispetto delle affermazioni generali – non è affatto passata”.

Riteniamo, tale proposta, ancora oggi, una valida possibilità “di rientro” in Cassa. Forse il sistema è da definire meglio; di certo questa proposta costituisce una ottima base di partenza, a nostro giudizio, perché il sistema venga rivisto e venga reso a “misura di iscritto”. Ma per fare ciò, è opportuno che vengano rivisitati (per così dire!) alcuni ingranaggi del sistema che, di fatto, è diventato un elefante che si muove in una cristalliera, causando danni a tutti (tranne che a pochi) ad ogni movimento.

A nostro giudizio, da qualche parte si deve pur cominciare …

E proprio il rientro in Cassa Forense come consentito a tutti non può che essere un buon inizio. Fermo restando che ormai tutti sono d’accordo nel ritenere la revisione di Cassa non più procrastinabile, tuttavia dobbiamo iniziare a discutere seriamente sul come portare avanti tale revisione, senza alterare gli obiettivi e la sostenibilità a 50 anni, concetti – questi – che di fatto, pur garantendo una regolarità formale del bilancio di Cassa, non hanno consentito a tutti di sostenere (mi sia scusato il bisticcio di parole) i costi relativi.

Nicola Zanni

 

 

 

 

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