Intelligenza artificiale, business e Civiltà giuridica

Non è di poco tempo fa la pubblicazione in rete delle fotografie di un Trump arrestato dalla polizia statunitense seguite non solo da una smentita ma anche da una orgogliosa manifestazione di applicazione della  cosiddetta intelligenza artificiale che, in questo caso, avrebbe potuto ingannare l’opinione pubblica con conseguenze imprevedibili.

E’ invece dell’altro ieri la pubblicazione di un articolo di Massimo Gaggi sul sito del Corriere della Sera dal titolo: “I due rischi più spaventosi dell’Intelligenza artificiale secondo Geoffrey Hinton, il suo «padrino»” nel quale, l’articolista riporta le preoccupazioni dello scienziato inglese, 75enne, creatore delle c.d. “reti neurali” per i pericoli a cui il mondo andrebbe incontro.

«Quasi impossibile individuare e neutralizzare gli “attori maligni” che la useranno. E potrebbe prendere decisioni non previste». «Se siete diventati dipendenti dai like è colpa mia: sappiate che ho contribuito a crearli». «Se mentre navigate in rete e parlate di un oggetto venite bombardati dalla pubblicità su quella cosa, prendetevela con me: vorrei non aver sviluppato quelle tecniche di microtargeting» queste solo alcune delle sue affermazioni che giustificano le dimissioni dallo staff scientifico di Google, per il resto si rinvia alla lettura dell’articolo https://www.corriere.it/esteri/23_maggio_02/rischi-intelligenza-artificiale-geoffrey-hinton-42cf759e-e8e3-11ed-ab1b-11aa9107d7a1.shtml?refresh_ce.

Mentre la lettura di questo articolo riporta alla mente il pentimento postumo di Einstein, per aver sollecitato gli Usa alla costruzione di armi nucleari convinto che non sarebbero mai state usate se non per legittima difesa: ”Se avessi saputo che i tedeschi non sarebbero riusciti a costruire la bomba atomica, non avrei mai alzato un dito”, ecco che negli USA, dal mondo del business, Joshua Browder, Ceo di DoNotPay, società statunitense che ha inventato l’avvocato-robot, afferma: «La legge è una combinazione di codice e linguaggio, e quindi rappresenta lo use case perfetto per l’intelligenza artificiale». Dunque, il problema giustizia è bello, risolto e archiviato. Con un click… che vale milioni di dollari.

A questo punto, noi operatori del diritto, insieme a magistrati e parlamentari, noi che per primi abbiamo inventato, quando non subito, la c.d. verità processuale, la cui necessità spesso distrae dallo scopo ultimo della procedura stessa che è la giustizia; noi che per primi siamo alle prese con i continui aggiornamenti di complesse norme procedurali, alle quali oggi se ne sommano di ulteriori tecnico-informatiche; noi che come compito principale, prima ancora dell’esercizio della difesa tecnica, abbiamo quello di discernere il giusto dall’ingiusto, il lecito dall’illecito, ascoltando e valutando casi unici e non confondibili con altri, storie reali di donne e uomini, a volte drammi di vite reali; noi che sempre più facilmente ci troveremo di fronte a produzioni virtuali della c.d. “intelligenza artificiale” di difficile, se non impossibile, valutazione; noi, specie noi avvocati, una domanda sul nostro ruolo in questa società globalizzata ce la dobbiamo porre ed in fretta: siamo semplici patrocinatori di interessi privati o siamo anche, come credo, difensori e ultimo baluardo di quell’interesse pubblico che è la giustizia, frutto non di un calcolo matematico ma termine, non ultimo, di un cammino di maturazione e civiltà umana?

Paolo Scagliarini

 

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