E’ sempre questione di coscienza!

Per i giuristi e soprattutto per noi avvocati Interessante risulta essere una sentenza emessa, qualche giorno fa, dalla Cassazione: la numero 6966 del 2023.

Il caso, sottoposto da un Collega all’attenzione della Suprema Corte, è quello per il quale, in una causa penale, dopo soli due minuti dalle conclusioni della difesa, il Giudice non solo ha letto il dispositivo ma anche le motivazioni scritte in sei pagine.

Per la cronaca, la Cassazione ha respinto l’eccezione di nullità formulata dal difensore secondo il quale ci sarebbe stata la violazione dell’art. 178 lettera c del c.p.p.

Si possono scrivere sei pagine di motivazione e 2784 battute in due minuti? È la domanda che si pone Riccardo Radi sul blog terzultimafermata.blog

Ritengo che la problematica sia stata affrontata, nei suoi termini giuridici, in maniera ineccepibile come sa fare la Cassazione. Nessuna norma è stata violata, né il codice prevede un termine minimo di riflessione da parte del Giudice sulle argomentazioni di accusa e difesa sulla quale dover riflettere prima del pronunciamento.

Si potrà quindi dire che il Giudice in questione aveva semplicemente abbozzato degli appunti, poi tradotti nella stesura definitiva della sentenza dopo aver attentamente ascoltato e considerato le conclusioni del difensore dell’imputato. È vero, può essere, anzi lo è senz’altro. Ma chi può mai garantirlo?

Quante volte è capitato dei essere sfiorati dal pensiero che il Giudicante avesse già scritto la sentenza prima di ascoltarci? Personalmente, agli inizi della professione, un collega anziano oggi scomparso, mi disse “se vuoi dilungarti nell’arringa finale fallo pure ma manca il cliente, e poi hai visto come ascolta (il Giudice, n.d.r.) i colleghi?”, dandomi ad intendere che ormai i giochi erano fatti e che le argomentazioni che avrei esposto di lì a poco sarebbero servite a ben poco. Dunque, legalmente si potrebbe dire che la pronuncia della Cassazione non fa una piega e che tutto sommato l’unico ad uscirne con le ossa rotte è l’adagio “caesaris coniugium non esse honestum, sed etiam honestate videntur” ovvero l’apparenza.

Dunque, in questo come in tutti gli altri casi, il limite tra la Giustizia e la giustizia legalista è molto labile e l’oltrepassare tale limes è affidato alla sola, imperscrutabile, coscienza del magistrato giudicante.

Paolo Scagliarini

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