Avvocatura, politica ed edilizia giudiziaria

E’ partito come una sorta di esperimento sociale, quel profluvio (a giudizio di qualcuno, inutile o addirittura pleonastico) di interviste ai rappresentanti locali delle associazioni maggiormente rappresentative del mondo forense, sulla edilizia giudiziaria, in un momento di stallo (dopo la firma della locazione della seconda Torre Telecom) e dopo la declaratoria di inammissibilità di un ricorso, da parte del TAR, presentato da una associazione ambientalista, avverso la costruzione del c.d. Polo della Giustizia.

A seguito della declaratoria de qua, a leggere le interviste sui maggiori quotidiani (on line e cartacei), sembrano tutti contenti, a ben vedere.

Forse più d’uno dimentica che la Giustizia, a Bari, non è solo problema degli operatori della Giustizia, che la Giustizia (in senso lato) non è rappresentata solo dalla Giustizia penale, che la presa in consegna della seconda Torre Telecom è solo una boccata di ossigeno (ma non risolve in nuce, come direbbero i più dotti, i problemi di tutta la Giustizia), che – assieme alla Cittadella della Giustizia – dovrebbero risolversi gli annessi problemi di viabilità, che – forse – il problema è stato volutamente e colpevolmente evitato dalla Politica (ed anche dalle Istituzioni Forensi locali che avrebbero dovuto avere, forse, il coraggio di battere i pugni sul tavolo, al momento opportuno, e che, se non lo hanno fatto nel tempo, lasciano qualche dubbio in ordine alla loro inerzia).

Dalle interviste rilasciate dagli Amici responsabili delle 5 associazioni cui il nostro giornale ha dato voce (Camera Civile, Camera Penale, Movimento Forense, Sindacato Avvocati di Bari ed AIGA Bari) e che, anche in questo pezzo, ringraziamo per aver contribuito a non fare cadere l’oblio ed il silenzio su un problema (quello dell’Edilizia Giudiziaria, appunto, ritenuto – fino a qualche anno fa – un non problema della Avvocatura), si evince chiaramente la necessità di risolvere il problema, demandando la risoluzione dello stesso alla politica.

Il motto è, in sintesi: costruite la Cittadella (o il Polo o chiamatelo come volete) della Giustizia dove volete voi, basta che la costruite. In pratica: se il problema è (anche) della Avvocatura, noi non entriamo nel merito delle decisioni perché, per noi, è sufficiente che il problema venga risolto. Si: ma chi lo deve risolvere?

Come ha ricordato giustamente (ma parzialmente) Leonardo Ciciolla, Segretario del Sindacato Avvocati di Bari, nella sua intervista, subito dopo le tende (erano gli inizi di Settembre del 2018) ci si riunì al 6° piano del Palazzo di Giustizia di Bari, alla presenza della c. d. Politica. Presenziò Marco Lacarra, presenziò Francesco Paolo Sisto (all’epoca non ancora Sottosegretario), presenziò anche una parlamentare del Movimento 5 Stelle, in rappresentanza dell’allora Ministro Avvocato Alfonso Bonafede, presenziò Vito Lacoppola, per il Comune di Bari. Invitati a firmare una dichiarazione di impegno, dall’allora Presidente della Camera Penale di Bari, Gaetano Sassanelli, quasi tutti firmarono questo impegno a risolvere il problema; unica a non firmare fu … indovinate chi! Ma non è (solo) questo il problema.

Il problema viene da lontano, lo sappiamo tutti. Lo sanno i Magistrati, lo sa la Politica. E lo sanno (bene) gli Avvocati. Nel 2017, in un Consiglio appena insediato (dopo le elezioni seguenti alla gestione Commissariale del COA, del marzo – ottobre 2016), un Consigliere dell’Ordine chiese l’istituzione di una Commissione Consiliare sulla edilizia giudiziaria avente il compito di monitorare la situazione, nel Foro di Bari, e di avanzare eventualmente proposte. La proposta fu – ovviamente – bocciata a maggioranza, venendo addotta la giustificazione che il problema della Edilizia Giudiziaria e la sua risoluzione non spettavano alla Avvocatura ma alla Politica.

Giusto per non dimenticare (ma per ricordare sempre la propria provenienza, quegli stessi che votarono contro la istituzione consiliare, oggi, sono sulle barricate del “è problema anche della Avvocatura. Ma la soluzione trovatela voi politici”. Della serie: fate cosa vi pare, fatela come vi pare; a me va bene tutto!

Dopo la bocciatura consiliare della proposta de qua, un po’ per dare fumo negli occhi a certa parte della Avvocatura che aveva ritenuto (e continua a ritenere) il problema Edilizia Giudiziaria un problema della Avvocatura (o forse perché ci si rese conto che, in effetti, il problema non era solo della Politica: in fondo, nella Conferenza Permanente, istituita presso ogni sede di Corte d’Appello, presenziano anche i Presidenti dei COA  – o di loro delegati, quando costoro si degnano di delegare, senza diritto di voto), si stabilì un punto ad hoc da inserire all’Ordine del Giorno di ogni Consiglio.

La Giustizia–spezzatino, la dislocazione in vari punti della Città dei vari Uffici Giudiziari, la lontananza dei vari Uffici, ecc., sono anche problema della Avvocatura che non può e non deve restare (o dare l’impressione di essere) sempre in posizione di neutralità. Va bene parlare di problema; ma di solito, dinanzi ad un problema, si offre una soluzione. Affidarsi ad una politica che, negli ultimi 22 anni, è stata (in evidenza) ostaggio di interessi particolari, di fatto bloccando ogni progetto di risoluzione del problema o rimanere in balia di (legittimi, per carità!) ricorsi che subiscono la tagliola della inammissibilità del Giudice amministrativo, serve solo a non volere la soluzione del problema, dando l’impressione di essere schiavi di chissà quale potentato. Anche il ciclico rispolverare un progetto vecchio 22 anni non ha ragion d’essere, perché con i se e con i ma non si fa la Storia

La Avvocatura può fare molto, nella storia dell’edilizia giudiziaria barese, aiutando a risolvere il problema e prendendo posizione, non affidandosi ad una sciocca e banale neutralità.

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime” (Antonio Gramsci, Gli indifferenti).

Aveva ragione Gramsci: bisogna dare conto di ciò che si è fatto e di ciò che non si è fatto. E l’indifferenza non paga! Non basta dire “fate ciò che volete, ma fatelo”; bisogna dire cosa c’è da fare. Senza se e senza ma, perché bisogna avere il coraggio di non essere indifferenti; perché bisogna avere il coraggio di prendere le decisioni anche a costo di scontentare qualcuno; perché bisogna avere il coraggio di dire qualcosa, anche se sgradito.

La politica (Forense) è anche questo. Ed il compito degli iscritti è quello di dire, con Gramsci: odio gli indifferenti!

Nicola Zanni*

*Direttore Editoriale Futuro@Forense

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