Una toga sulla bara

Massimiliano Alessandro Pozzi, questo il nome dell’avvocato di 49 anni che si è suicidato nella giornata di ieri lanciandosi da un piano alto del Palazzo di Giustizia di Milano. L’evento è stato ripreso dalla stampa e dato in pasto al pubblico sul tavolaccio dei social dove non si lesinano commenti di ogni genere.

Un gesto estremo che certamente è stato dettato dalla disperazione nella quale il professionista è precipitato.

Leggerete, qua e là, che l’evento deve fare riflettere, che magari ciò è accaduto perché l’avvocato era affetto da ludopatia, perché strangolato dai debiti, per la crisi matrimoniale, per la sospensione dalla professione, per questo… per quello…

Resta per certa e sovrana la solitudine nella quale l’uomo era caduto; perché questo genere di accadimenti sono anticipati ed accompagnati da un periodo di estrema solitudine, quella solitudine offerta gratuitamente e a piene mani da noi che questi aridi tempi siamo chiamati a vivere, e da quelle istituzioni che noi alimentiamo e diciamo ispirate ai grandi principi traditi di solidarietà, colleganza e chi più ne ha più ne metta.

Restano la toga negata a quell’uomo per qualche motivo,  e i suoi ultimi minuti passati sotto lo sguardo freddo delle telecamere di sorveglianza di quei corridoi testimoni dell’inizio e della fine della sua professione, privi di umanità.

Paolo Scagliarini

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