L’imbrattacarte

All’epoca della pandemia causata dalla diffusione del Coronavirus, purtroppo si è preso atto dell’ indebito accaparramento di clientela da parte di taluni Avvocati – per fortuna una piccolissima rappresentanza – i quali avevano proposto “stucchevoli offerte di assistenza per ipotetiche controversie risarcitorie massive in cause di responsabilità medica”. Partiva quindi la denuncia da parte del CNF rispetto a quelli che sono stati a ragion veduta ritenuti episodi di sciacallaggio professionale, per cui i Consigli dell’Ordine sono tenuti, per ruolo istituzionale, a vigilare sul rispetto del Codice Deontologico ed a segnalare eventuali illeciti ai competenti Consigli Distrettuali di Disciplina Forense. Vista la gravità della situazione sanitaria, sociale ed economica che sta vivendo il nostro Paese, l’Avvocatura deve dare un esempio ancora più forte di lealtà, correttezza e probità, mantenendo sempre un comportamento degno della propria funzione.
Ciò detto, l’avvocato che si rispetti, che non si qualifichi come un “imbratta carte” – e che non lo sia mai stato nel corso della sua attività professionale – non potrà mai accettare una causa contro una categoria professionale come quella dei medici, perchè non è questo il punto, o per lo meno non solo questo. Non avremmo mai voluto arrivare a parlare della nostra categoria come di una categoria che si pone alla finestra come per acchiappar farfalle. Siamo avvocati e avremmo – come abbiamo – il sacrosanto diritto di esercitare la nostra professione con il chiaro intento di difesa oggettiva dell’assistito, nella piena capacità di valutare e ponderare cosa sia opportuno o non opportuno per il nostro assistito. Poiché, come recita il nostro codice deontologico, “l’Avvocato è soggetto alle norme deontologiche poste a presidio dell’affidamento della collettività, della correttezza dei comportamenti e della qualità delle prestazioni professionali (art. 1)”; “l’Avvocato non deve acquisire rapporti di clientela con modi non conformi a correttezza e decoro (art. 37). Inoltre, l’avvocato non deve prestare la propria ttività professionale in forma gratuita, e l’eventuale, espresso riferimento alla gratuità dell’attività legale lede, tra l’altro, i principi sanciti dall’art. 2595 c.c, anche in riferimento alla disciplina sull’equo compenso; in tal caso si ravvisa anche una condotta contraria all’etica professionale, in palese violazione delle regole di correttezza e lealtà. Appare chiaro come anche l’offerta gratuita della prestazione legale è tale da indurre in errore l’utente.
In questo complesso contesto socio – sanitario, in cui la categoria dei sanitari sta svolgendo un ruolo importante con una abnegazione encomiabile, certamente condannare aprioristicamente una intera categoria professionale quale quella medica ed infermieristica equivale a sparare, come suol dirsi, sulla croce rossa.
Però è anche vero che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.
Prendiamo in prestito fatti di cronaca. Porto l’esempio di un anziano, che in tempi di coronavirus, angosciato e affaticato attende in uno studio medico, e nell’attesa di farsi rilasciare una prescrizione medica, riceva un improvviso quanto esecrabile trattamento da parte del medico condotto. Il medico perde la pazienza per un non nulla e si rende responsabile di un episodio di maltrattamento, percosse con lesioni. L’ipotesi è alquanto rara, ma viene da pensare che possa succedere, poichè gli animi sono infiammati, la tensione e lo stress raggiungono livelli elevati, talvolta sfociando in una assurda ed immotivata intolleranza. Al netto di una denuncia che questo povero anziano possa pensare di sporgere, dobbiamo prendere atto che si può sbagliare, e per vari motivi, e non solo per fatti direttamente connessi alla emergenza sanitaria. Prendiamo un altro esempio, ovverosia quello di taluni direttori sanitari, che nel dubbio di aver contratto il virus, nell’attesa di ricevere riscontro, se ne vadano in giro per i vari reparti di ospedali, impartendo disposizioni al proprio staff, così finendo per infettare e costringendo alla chiusura forzata interi reparti ospedalieri. Ma senza andare troppo lontano, parliamo dei casi di morte sospette di anziani all’interno di alcune RSSA, ove i poveri malcapitati, a primo acchito, sembravano essere deceduti per cause connesse al coronavirus, salvo poi iniziare a dubitare che dietro ci fossero lunghe storie di stenti e di deplorevole negligenza degli stessi operatori .
Alla luce di ciò, un’osservazione personale mi pare doverosa. Un avvocato che si rispetti, che riceve nel proprio studio una persona colpita da presunta responsabilità medica – evidentemente non riconducibile per forza alle problematiche connesse alla pandemia – è in ogni caso portato a scandagliare la complessa dinamica fattuale, senza contestualizzazione e preconcetti di ordine morale. E corre l’obbligo di rammentarmi che una spiccata visione dell’insieme che mai come oggi è valore imprescindibile, giacchè si vive un momento sociale cosi complesso e così grave, che i fattori da considerare per determinare una responsabilità sanitaria, oggi come oggi, sono innumerevoli.
Invero, il nostro giuramento professionale, al pari del giuramento prestato da chi appartiene alle altre categorie professionali, è sacrosanto e non può essere soggetto a strumentalizzazioni. Fermo restando che la dichiarazione di intenti circa ciò che si ritiene opportuno accettare, è rimesso allo spirito personale di ogni professionista.
Ma faccio un discorso diverso.
Sono decine i medici caduti sotto i colpi dei coronavirus. Da moglie di un sanitario, che guarda da vicino il sistema sanitario, non posso che testimoniare come dottori e infermieri lavorino tanto, troppo, e sono stati spediti “al fronte” con protezioni adeguate ma talvolta arrivate con un certo ritardo.
Abbiamo già 80 medici e 28 infermieri deceduti. Insufficienti sono i dispositivi di protezione e anche insufficienti sono le tutele a livello legale: in questo momento, giustamente, gran parte del Paese nutre ammirazione e gratitudine per il sacrificio di medici ed infermieri, veri eroi, ma molte migliaia di decessi sono un bilancio troppo pesante che lascia sul campo rancori, amarezze, voglia di caccia al colpevole e di facili capri espiatori. Ecco perché molto probabilmente, quando a pandemia sarà stemperata, è possibile che si assista ad un certo aumento delle cause intentate dagli eredi degli stessi medici e personale sanitario, che si sommeranno a quelle dei parenti delle vittime del coronavirus. Lo Stato ha apprestato il c.d. scudo penale per i medici, il personale sanitario ed il relativo personale amministrativo. Esso esisteva già, grazie a una giurisprudenza precedente, in evoluzione costantemente uniforme, una garanzia forte per il sanitario che, grazie alle Leggi Balduzzi prima e Gelli-Bianco poi, poteva sostanzialmente già dormire sonni tranquilli sotto il profilo penale. Infatti, secondo l’articolo 54 c.p. “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.
Nel momento in cui tutto questo finalmente finirà, ci si domanderà chi è stato il colpevole di tutto questo e occorrerà giocoforza tirare un minimo le somme delle responsabilità. Un occhio particolare dovrà essere rivolto non solo ai caduti da coronavirus ma agli stessi medici, eredi dei medici e personale sanitario. I mariti, le mogli e i figli degli stessi medici caduti hanno tutte le ragioni del mondo per chiedere un giusto risarcimento. E sfido chiunque a sostenere il contrario.
Bisognerebbe essere pragmatici, responsabili e non sviluppare un cervello emotivo, come è accaduto per alcuni di noi sui social.
La maggior parte degli avvocati che ha usato l’hashtag lo ha fatto con le migliori intenzioni, che però, come è arcinoto, sono il pavimento del corridoio che conduce all’inferno. Perché, tra una seduta al pensatoio e una pigra riflessione sul divano, si prende posizione subito, pensando pure di far bella figura, il che in una società superficiale e ipercinetica può anche andar bene. Rileggendo però il tutto con un minimo di calma (che oggi tendenzialmente si potrebbe recuperare) e immaginando un po’ di conseguenze di quello che si sta per pubblicare, forse si potrebbero fare considerazioni diverse.
Qui non siamo noi gli imbrattacarte. Speculare è una nefasta prerogativa che appartiene al singolo, non può essere prerogativa di una intera categoria professionale. Qualcuno dovrà pur difendere, e quel qualcuno siamo sempre e solo noi.
Non occorre una dichiarazione di intenti, occorre solo coscienza.
Barbara De Lorenzis

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