L’Avvocatura e la Teoria del Gatto

L’aforisma di Deng Xiaoping (e non di Mao Dsedong, come erroneamente e comunemente si crede) parte da un dato storico di fatto: in seguito all’estrema oppressione politica verificatasi durante i dieci anni di Rivoluzione Culturale, Deng espose la famosa Teoria del Gatto per introdurre il Paese nell’economia di mercato capitalista.

Praticamente, il gatto bianco e quello nero stanno a rappresentare l’economia pianificata e l’economia di mercato, facendo intendere che il fine giustifica i mezzi.

Questa teoria, dunque, afferma che non è importante se un gatto è bianco o nero; fino a quando catturerà i topi, sarà un buon gatto. La stessa teoria fu considerata così rivoluzionaria che il Times elesse il menzionato Deng (allora capo del Partito Comunista Cinese) “uomo dell’anno”. Eravamo lontani dalla perestrojka e dalla glasnost di Gorbaciov e dalla caduta del Muro di cui quest’anno ricorre il trentennale.

In quella frase è condensata tutta una filosofia di vita che supera il valore o il disvalore degli ideali per esaltare una realtà più “terrena”: il bene comune? Si può ritenere tutelato, il bene comune, se la proposta viene da una parte piuttosto che da un’altra? O, invece, bisogna andare all’essenza delle cose e verificare se la proposta, da qualunque parte provenga, sia una proposta seria?

Mutatis mutandis, può – questa teoria “felina” – essere trasfusa anche nel nostro “mondo”, dove la concretezza dovrebbe essere un dato di fatto acquisito e dove bisognerebbe guardare a problemi che trascendano dai desiderata, cui fa riferimento ognuno di noi, e che si dovrebbero risolvere fattivamente?

Un problema su tutti: l’arcinoto e famigerato “doppio mandato”, su cui si sono spesi fiumi di inchiostro e di parole nel silenzio imbarazzante dell’OCF che, timidamente, ha detto qualcosa e poi è tornato a dormire. Ma l’imperatore ed alcuni altri sono ancora là, nonostante Cassazione, Legge e Corte Costituzionale siano chiare.

Di certo, non possono considerarsi “gatti buoni”, siano essi bianchi o neri, quei pontefici che hanno contribuito ad arrivare a questa situazione, garantendo – con la loro ignavia o, addirittura, con la loro intelligenza con il “nemico” attuale – un cero atteggiamento.

Quali sono le proposte buone e quali quelle cattive, per una profonda revisione dell’Avvocatura? Quelle che provengono da una parte che piace a qualcuno? O quelle che, invece, sono frutto di un “approfondito esame di classe”?

Al Congresso di Bari (2012), qualcuno parlò di necessità di approvare una Legge Professionale da brividi perché bisognava “superare la legge del ‘33” che aveva tanti difetti, ma almeno aveva dato una parvenza di lobbismo – in senso positivo e sia pure a livello primordiale – alla nostra categoria.

I risultati si vedono a distanza di sette anni, dalla approvazione della Legge Professionale che Schifani, allora Presidente del Senato, disse non essere una priorità (salvo approvazione il 31/12/12), con rendite di potere che tendono a rimanere come datteri di mare negli scogli.

E’ reato pescare i datteri perché bisogna rompere gli scogli. Ma nel nostro caso, è necessario romperli.

Ed allora dobbiamo continuare a fare distinzione tra idee, a seconda di chi le ha? O, piuttosto, non dobbiamo guardare al risultato?

Come sempre, chiedo per un amico, eh!

            Nicola Zanni   

 

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